| |
Di forti lacune mi svesto
e spolvero il tasto che m'aggrada
in novanta gradi o centottanta trombe
a demolir debolezze
ché i miei calcagni son morti
nell'auto - analisi
sparati a schioppettate,
deceduti in ragnatele per ranghi
d'ebbri Achei alla troiana,
nell'era del volto deformato
da chirurghi plagianti facce
d'uguaglianza
vero-simil-crio-coordinata.
Debole, emaciata, controversa abulimia
del "voglio" destar patimenti
e contrastati alibi d'alì-babà
E poi io e l'altro o tutti assieme
a scavar fosse di rimpianti
impantanati in melme ridondanti.
Non sarà mai l'ora
di togliermi i vestiti che tanto
han ricoperto,
in pietosi affanni,
l'altrui pelle formato formante
sigillo di natura.
Accetto il silenzio e morfologie,
strizzo il ventre d'anfore selvaggie
scoperchiate in sventagliate dune
e, che se a m o r e dev'essere,
a m o r e stato sia, l'agguato,
a m o r e in delirio scia-la(c)quato.
|